domenica 23 dicembre 2012
L'albero di Natale
(da Rory)
L'albero di Natale insieme al presepe è una delle usanze natalizie più diffuse.
Di solito si addobba l'albero il giorno dell'Immacolata, l'otto dicembre e si toglie il sei gennaio,il giorno della befana!
Solitamente l'albero è un'abete rosso oppure il pino ma se ne possono usare anche altri tipi.
Gli ornamenti più diffusi sono le così dette palline, che non è un termine molto corretto perchè non sempre sono sferiche ma possono essere di altre forme.Ma non solo,ci sono le miniluci che hanno sostituito le candele già dal Novecento e che ora ce ne sono di moltissimi tipi,addirittura musicali.
La cima dell'albero è arricchita con il puntale,generalmente a forma di stella cometa.
L'albero di Natale è l'immagine del rinnovarsi della vita ed è un tema pagano, che poi è stato integrato nel Cristianesimo.
Sembra che questa tradizione sia nata a Tallinn in Estonia nel 1441,quando nella grande piazza del Municipio fu messo un grande abete,intorno al quale uomini e donne ballavano cercando l'anima gemella.E così questa tradizione arriva fino ai giorni nostri!

Auguro un Buon Natale e delle Buone Feste a tuttiii!!:)



Presepe
(da Lulù)

Il presepe è la rappresentazione, vivente o sottoforma di statuine, della nascita di Gesù.
Questo avvenimento così importante per la religione cristiana viene raccontato in modo molto sintetico nei Vangeli canonici (quelli di Luca, Matteo, Giovanni e Marco), anzi solamente Luca e Matteo ne parlano, mentre in quelli apocrifi è raccontato in modo più particolareggiato.
Nel Vangelo di Luca la natività è raccontata così:


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama».
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.




Nel Vangelo di Matteo il racconto è ancora più stringato:


Ed ecco come Gesù Cristo fu generato: essendo stata sua madre fidanzata a Giuseppe, prima che essi abitassero insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo.  Ora, Giuseppe suo sposo, essendo giusto e non volendo esporla al pubblico discredito, pensò di ripudiarla in segreto.  Mentre egli meditava queste cose, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno dicendogli: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che in lei è generato è opera dello Spirito Santo;  essa partorirà un figlio al quale tu porrai nome Gesù. Egli, infatti. salverà il proprio popolo dai suoi peccati". Ora, tutto questo avvenne affinché si adempisse ciò che il Signore aveva detto per mezzo del profeta:  "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno Emmanuel", che significa: "Dio con noi".
 Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e condusse presso di sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, cui egli pose nome Gesù.



È evidente quindi che quando noi a casa prepariamo il presepe non ci ispiriamo un granché ai racconti evangelici (al massimo a quello di Luca dove è presente la mangiatoia, l’angelo e i pastori), ma alla tradizione popolare ed in parte ai Vangeli apocrifi.
Ad esempio il bue e l’asinello sono presenti solamente nel vangelo di Giacomo, la grotta in cui sarebbe nato Gesù non è altro che un richiamo alle antiche religioni pagane mediorientali (a Creta, ad esempio, le grotte erano venerate come divinità) e a quella grecoromana (anche Zeus è nato in una grotta), i Magi sono la rappresentazione delle popolazioni del mondo (il persiano che regala a Gesù l’oro, l’arabo che porta l’incenso, l’etiope la mirra) e altri elementi rappresentano i vizi e le virtù della religione cristiana (ad esempio, Maria veste di azzurro perché l’azzurro ricorda il regno dei cieli).

Il presepe l’abbiamo inventato noi italiani. Può sembrare un po’ egocentrico, detto così, ma sostanzialmente è vero: il primo presepe risale al 1223 quando San Francesco di Assisi realizzò per la prima volta una rappresentazione (vivente) della Natività.
Il primo presepe non vivente fu realizzato da Arnolfo di Cambio nel 1290 e nel Quattrocento costruire presepi divenne praticamente un’arte in cui si cimentarono anche artisti importanti (fra cui anche Botticelli).
A livello popolare la tradizione si diffuse in tutta l’Italia differenziandosi nelle varie regioni a seconda della cultura del posto (anche se i presepi si diffusero soprattutto nelle case dei nobili e solamente nell’Ottocento entrarono nelle case dei borghesi e del popolino).
Durante il regno borbonico su Napoli il presepe fu introdotto anche in Spagna da cui si diffuse in tutta Europa, prendendo le caratteristiche delle culture locali.

Questo è il presepe che abbiamo fatto stamattina a casa, io e mia sorella. Non è uscito molto bene perché l’abbiamo improvvisato ed è stata la prima volta che l’abbiamo fatto completamente da sole (infatti si vede che la carta per fare la capanna è piegata male) per non parlare del fatto che abbiamo travato un sacco di pastorelli rotti e quindi è un po’ vuoto.


E questo è un video del presepe vivente dell’anno scorso che hanno fatto su al paesello. Ogni anno i vari paeselli organizzano il presepe vivente ed è proprio una gran bella cosa: addobbano tutto il paese e si crea proprio una bell’atmosfera.
E poi è un’ottima occasione per mangiare un po’ di piccelatiegli (impasto di pizza con delle spezie dentro fritto con la forma allungata) e cazzabotte (frittelle di cavolfiore) che sono tanto buoni e non capisco perché se non si fa Natale non si possono mangiare! Infatti in questi giorni sto scatenando tutta la voglia che mi hanno fatto venire durante l’anno XD.
I piccelatiegli, sembrano quasi quelli che fa mia nonna!

E visto che ogni mondo è paese, auguro anche a voi una buona scorpacciata di dolci e alimenti natalizi oltre che a un buon Natale!
Auguroni!

sabato 15 dicembre 2012


L’usignolo e la rosa
(da Lulù)
Proprio oggi ho finito di (ri)leggere Il Principe Felice e altri racconti (questi altri racconti sarebbero: L’usignolo e la rosa, Il Gigante egoista, Il vero amico, L’illustre Razzo –quello che mi è piaciuto meno-, Il giovine re e L’Astrofanciullo) e l’ho chiuso con un sospiro di gioia e nostalgia.
Nostalgia perché questo è stato praticamente il secondo libro serio della mia vita (il primo, e intendo in senso assoluto, è stato Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare) e l’ho letto a qualcosa tipo otto anni.
Me ne ero quasi dimenticata. Cioè, no, non l’avevo dimenticato, ma l’avevo un po’ perso di vista. Me ne sono accorta quando ho detto “A me Wilde non sta molto simpatico, d’altra parte però ho letto solo il Ritratto di Dorian Gray…” e allora una campanella nella mia testa ha dato l’allarme: no, non ho letto solo il Ritratto di Dorian Gray.  Quindi ho deciso di recuperarlo e l’ho fatto immediatamente.
Gioia perché è stato davvero un piacere ripercorrere queste storie più o meno note “sentendole” però con un gusto diverso.
E ora giro e rigiro il libro fra le mani, senza decidermi a metterlo via e questa cosa non mi è più capitata dopo aver letto il Piccolo Principe: allora l’ho semplicemente riletto tutto ogni giorno per circa due settimane di seguito, finché non mi sono scocciata. Visto che però ora non sono più una bambina di dieci anni con il tempo di fare certe cose e l’incoscienza di usarlo così (il tempo è denaro) vorrei evitare di essere costretta a rileggere queste fiabe per quattordici giorni di fila XD.
Quindi ho deciso di scrivere del racconto che mi è piaciuto di più (la cosa curiosa è che da piccola il mio preferito era L’Astrofanciullo): L’usignolo e la rosa, appunto.

La storia inizia con un usignolo un po’ impiccione che ascolta i lamenti d’amore di un giovane studente seduto all’ombra della quercia su cui l’usignolo ha fatto il nido.
Ecco qual è la pena del giovane studente:
“Domani sera il principe dà un ballo” mormorava il giovane studente “e ci andrà anche la donna che amo. Se le porto una rosa rossa, la terrò tra le mie braccia, ed ella reclinerà il capo sulla mia spalla, e la sua mano sarà stretta con la mia. Ma nel mio giardino non v’è alcuna rosa rossa, e così me ne starò solo ed ella mi trascurerà. Non si darà di me alcun pensiero, e il mio cuore si spezzerà.”
Io mi chiederei che razza di sentimento è, un amore che dipende da una rosa. Per me non è amore, ma io sono una cinica e acida ragazzina di quattordici anni.
L’usignolo invece è un uccello romantico, che ha passato le notti d’estate a cantare del vero amore vissuto da appassionati amanti, e si intenerisce per la situazione del giovane studente perché “Ecco veramente un vero amante (…) Ciò che io canto, egli lo soffre: quel che è gioia per me, è per lui dolore. Davvero, l’Amore è una cosa meravigliosa. È più preziosa degli smeraldi, più raro delle pure opali. Perle e melagrane non lo posson comprare, né lo si trova sulla piazza del mercato. Non c’è mercante che lo possa acquistare, né lo si può pesare sulla bilancia con cui si pesa l’oro.”
Quindi l’usignolo decide di aiutare lo studente e vola alla ricerca di una rosa rossa: prima va da un rosaio, che però ha solo rose bianche, poi va da un altro, che ha solo rose gialle, infine trova un rosaio dalle rose rosse che però non può avere fiori perché l’inverno l’ha reso sterile.
C’è un modo per creare comunque una rosa rossa, ma è tanto terribile che il rosaio non vuole rivelarlo; l’usignolo però è così determinato che riesce a convincere il riluttante rosaio a rivelargli il modo per ottenere la rosa e salvare la felicità dello studente:
“Se vuoi una rosa rossa” disse il rosaio “devi crearla con il tuo canto al chiarore lunare e tingerla con il sangue del tuo cuore. Devi cantare per me, premendo il petto contro una spina. Tutta la notte devi cantare per me, e la spina deve trafiggerti il cuore, e il tuo vivo sangue fluire dentro le mie vene e diventar mio.”
Il prezzo per una rosa rossa è la vita.
L’usignolo però non si tira indietro, è convinto che l’amore sia più importante di tutto ed è pronto a sacrificarsi. Tornando alla quercia per attendere la notte e trovando il giovane studente ancora lì sotto, l’usignolo gli dice di rallegrarsi perché “Avrai la rosa rossa. Io te la creerò con il mio canto al chiarore lunare e la tingerò con il sangue del mio cuore. L’unico compenso che ti chiedo, è che tu sia un vero amante, perché l’amore è più saggio della più saggia filosofia, più forte del più forte potere. Di color fiamma sono le sue ali e di color di fiamma è il suo corpo. Ha le labbra dolci come il miele e il suo alito è come incenso.”
Il giovane ascolta il canto dell’usignolo, ma non capisce ciò che gli dice perché comprendeva soltanto le cose che sono scritte nei libri e questo è il primo indizio dell’inquietante, inevitabile finale.
Un giovane che comprende solo i libri (per di più solamente libri di filosofia) non può essere un vero amante perché l’amore è qualcosa che si vive, non qualcosa che si impara mandando a memoria teorie e formule.
Di notte l’usignolo va dal rosaio e inizia a cantare con una spina nel petto finché questa gli trafigge il cuore, colorando la rosa di rosso e uccidendolo.
La mattina il giovane studente trova la rosa rossa (perché il rosaio si trovava giusto giusto sotto la sua finestra) e tutto contento la coglie per portarla alla sua amata.
Però la reazione della ragazza non è quella sperata:
“Temo che non si accordi con il mio abito” rispose “E d’altronde il nipote del Ciambellano mi ha mandato dei veri gioielli, e tutti sanno che i gioielli costano più dei fiori.”Davvero, mia cara? Sei proprio sicura che una collana di diamanti costi di più di una rosa creata dal canto dell’usignolo al chiar di luna e colorata dal sangue del suo cuore? Ti stai accontentando di alcuni pezzetti di vetro rinunciando ad un vero gioiello creato dal massimo sacrificio concepibile per una mente mortale.
Stai rinunciando a qualcosa di importante, che ti porteresti sempre dietro, per dei preziosi che tanto, quando morrai, lascerai a casa a prender polvere.
Lo studente reagisce con una certa stizza, ed ecco la fine che fa la rosa:
e gettò la rosa in istrada, dov’essa andò a cadere in un rigagnolo e la ruota di un carretto ci passò su.
Quindi non solo il sacrificio dell’usignolo è stato completamente vano, ma viene anche disprezzato, finendo indegnamente nel fango come una cosa povera, rotta ed inutile. Senza valore.
Le ultime battute della ragazza e dello studente chiudono il racconto bollando per sempre gli esponenti del genere umano come degli idioti irrecuperabili:
“E io vi dico che siete molto grossolano. In fin dei conti, chi siete? Un semplice studente. Già, non credo che abbiate mai avuto fibbie d’argento sulle scarpe, come il nipote del Ciambellano.”
“Che stupidaggine, l’amore! Serve meno della logica, perché non dimostra niente, dice sempre cose che non accadono mai, e ti fa credere cose che non sono vere. Decisamente, è una faccenda per niente pratica; e siccome di questi tempi esser pratici è tutto, tornerò a dedicarmi alla filosofia e studierò metafisica.”
Ecco come due ragazzi ci mostrano quanto sia meschina, grossolana (è proprio il caso di dirlo) e superficiale la società.
In questa fiaba l’eroe è l’usignolo che, nel suo essere animale e quindi non essendo corrotto dal sistema del vivere civile umano, porta avanti dei valori che sono veri, sono sentimenti che migliorano la vita e che hanno un senso. E ha anche il coraggio di seguire fino in fondo il suo credo, arrivando anche alle estreme conseguenze.
Poi ci sono questi due tizi che non voglio meglio identificare che invece vivono di capricci (la ragazza che vuole la rosa, il ragazzo che si dichiara innamorato tanto per gioco –perché è chiaro che il suo non è un sentimento autentico-, la ragazza che si fa conquistare dai gioielli, il ragazzo che studia non per un valore umano dello studio ma per averne un tornaconto) e che alla fine risultano più inconsistenti dell’aria e sono loro, quelli che perdono.
D’accordo, l’usignolo è morto e loro sono vivi.
L’usignolo però è morto rimanendo fedele a sé stesso, in qualche modo contento, e soprattutto ha compiuto un gesto che ha lasciato un segno (sia anche sprofondato nel fango e gettato con noncuranza nel dimenticatoio) mentre invece il ragazzo e la ragazza non hanno concluso niente e non concluderanno niente se continuano a pensare in questo modo così vano e artificioso.
Povero usignolo. Si è sacrificato per due screanzati di quella risma.

Consiglio per gli acquisti: se volete aiutare qualcuno a conquistare una donzella con un mazzo di rose rosse, dategli il numero di un fioraio.
Meno poetico, ma vi conviene.


mercoledì 12 dicembre 2012
La favola di Eros e Psiche
L'autore è Apuleio nato in una famiglia benestante studiò a Cartagine e ad Atene. Nel 155 sposò una donna vedova più anziana di lui, fu anche accusato di averla sedotta con la magia.
La sua opera più importante è L'asino d'oro da cui è tratto il racconto.
Parliamone.
C'erano un re e una regina che avevano tre figlie bellissime ma la più bella delle tre era Psiche che era addirittura paragonata a Venere.
La gente le portava doni e offerte come se fosse una dea e l'altare di Venere fu completamente dimenticato.
Allora la dea cominciò ad essere gelosa e chiamò suo figlio Eros e gli disse che Psiche dovrà sposarsi con l'uomo più vile che esista.
Però Psiche non era felice perché essendo troppo bella nessuno osava sposarla, allora il padre chiese al dio Apollo un marito per sua figlia. Il dio gli rispose che sarebbe dovuta andare sulla montagna a sposarsi e sarebbe stato un matrimonio di lutto.
Lei molto triste andò e dopo poco il vento di Zefiro l'alzò da terra e l'accompagnò alla reggia che sarebbe stata la sua casa.
Lì conobbe le sue ancelle che però erano invisibili.Lui veniva solamente di notte e le disse di non guardarlo mai.Lei fece così, ma una notte gli chiese se potevano venirla a trovare le sorelle, lui non voleva ma alla fine cedette.
Il giorno dopo vennero le sorelle e lei tutta contenta le mostrò la casa e parlò di lui, loro erano molto gelose della sorella e spinte dall'invidia la convinsero a guardarlo di notte mentre dormiva.
Così fece.Mentre lui dormiva, Psiche accese una candela e lo guardò in viso era bellissimo, troppo bello per essere umano.Però un rivolo di cera gli cadde sul viso e lui si svegliò.Rimane sola ed è disperata allora si vendica delle sorelle dopo di che si rivolge a Venere che le dà tre prove da superare,l'ultima è quella di andare da Parsefone la dea degli inferi e chiedergli un briciolo della sua bellezza e dirle che la mandava lei e di non guardare mai nella scatola che le donava.Soltanto che Psiche era troppo curiosa e guardò, allora cadde in un sonno molto profondo da cui la sveglia Eros.
Allora anche Venere ammette che i due si amano e Psiche diventa una dea e lei e Eros possono finalmente stare insieme per sempre.



sabato 8 dicembre 2012


Cenerentola
 (da Lulù)

Cenerentola è una delle fiabe più conosciute; chi, fra di voi, non ha mai sentito parlare della famosissima scarpetta di cristallo? Non me lo dite, che tanto non ci credo.
Cenerentola è una fiaba molto antica, probabilmente originaria della Cina (in Cina i piedi piccoli sono il simbolo della bellezza femminile e infatti, fino a poco tempo fa, le bambine cinesi erano solite portare scarpe piccole e legare i piedi in alcune bende per far sì che non crescessero), conosciuta in Europa soprattutto grazie alla versione del francese Perrault, da cui derivano quasi tutti i film e le versioni che conosciamo.  
La storia è questa: una bellissima e buona fanciulla resta orfana di madre e il padre, per assicurarle una famiglia completa, sposa una donna che ha già due figlie (nella versione Disney, Genoveffa e Anastasia).
A un certo punto muore anche il padre e la matrigna tratta Cenerentola molto crudelmente, relegandola al ruolo di serva (da qui il nome Cenerentola perché la ragazza, svolgendo i lavori domestici come pulire il caminetto, era sporca di cenere). Un giorno si viene a sapere che a corte ci sarà un gran ballo e che durante questo ballo il principe sceglierà la sua sposa: ovviamente tutto il reame è in gran fermento.
Anche la matrigna di Cenerentola ha grande premura di farci andare le figlie, sperando che il principe scelga una delle due, ma non pensa assolutamente a Cenerentola che, poverina, resta a casa a mescolare le lacrime alla cenere.
Quando la matrigna è andata via al ballo con le sue figlie compare davanti a Cenerentola la Fata Madrina che le regala un superbo abito e trasforma una zucca in una carrozza per permetterle di andare al ballo, a patto però di essere di ritorno a casa per mezzanotte in punto, quando l’incantesimo si spezzerà.
Cenerentola quindi va al ballo e fa un figurone, attirando l’attenzione del principe.
A mezzanotte però è costretta ad andar via e nella fuga (perché il principe vorrebbe trattenerla) perde la sua scarpina di cristallo.

Soffermiamoci un attimo su questa scarpina, perché è molto interessante il pasticcio linguistico che hanno fatto i francesi sul materiale di cui dovrebbe essere.
Lasciando da parte la fiaba dei fratelli Grimm, in cui la scarpetta è addirittura d’oro, nelle varie versioni francesi si parla ora di “pantoufles en verre” (di vetro), ora di “pantoufles en vair” (di pelliccia di vaio, animale simile all’ermellino).
 Verre e vair infatti in francese si pronunciano allo stesso modo.
Prendendo in considerazione la verosimiglianza della storia questa scarpetta dovrebbe essere di vaio (le scarpette di vetro non esistono e in ogni caso non si adatterebbero alla forma di un piede diverso da quello per cui sono state create –come succede nella fiaba- perché il vetro è un materiale rigido), io però sono figlia della Disney e quindi la considererò sempre e comunque una scarpetta di vetro.

Il principe decide di trovare il suo amore perduto attraverso la scarpetta perduta (perdonatemi la ripetizione, ma ci voleva proprio XD) e decide di far provare la scarpina a tutte le ragazze in età da marito del paese.
Durante la sua ricerca capita in casa di Cenerentola e le sorellastre di questa fanno di tutto per farsi entrare la scarpetta, arrivando addirittura a tagliarsi le dita dei piedi e il tallone.
Il principe però scopre l’inganno (in alcune versioni perché glielo rivela un corvo che sarebbe l’incarnazione della defunta madre di Cenerentola), misura la scarpetta a Cenerentola e la sposa.
E vissero tutti per sempre felici e contenti.

Cenerentola è sempre stato un personaggio che mi è risultato antipatico, per il semplicissimo fatto che è una rammollita. Mai una volta che rispondesse per le rime alla matrigna o alle sorellastre, sopporta tutto con la docilità di un cane e non è lei che cambia il proprio destino: l’unica cosa che fa è aspettare passivamente che qualcuno venga a salvarla, poco importa se questo qualcuno è la Fata Madrina che la fa andare al ballo, la mamma che rivela l’inganno al principe o il principe stesso che la sposa. Lei non fa niente. Aspetta.
E il fatto che venga presa a modello per le novelle spose (quante volte viene nominata nelle pubblicità di abiti matrimoniali!) mi fa vomitare.
Allora perché dedicarle una parte del mio tempo?
Perché Cenerentola, pur nel suo rammollimento, può darci una lezione.
Ma non una Cenerentola qualsiasi, bensì la Cenerentola della Disney.



Lasciando perdere la sua voce, che mi ha sempre fatto schifo, concentriamoci su quel che dice: non bisogna mai smettere di avere dei sogni, di credere in essi e di sperare che si avverino (certo, se magari, al contrario della signorina, facciamo qualcosa per tentare di realizzarli non è proprio una cosa malvagia).
In questo difficile momento di regressione e crisi (economica, civile, morale, sociale, culturale e tutto quello che volete) non bisogna mai scoraggiarsi e dimenticare che siamo esseri umani e che, come dice qualcuno ben più autorevole di me e di Cenerentola, “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” (Shakespeare, “La tempesta”).
Vedete Cenerentola, per esempio: nonostante tutto è contenta perché mitigandola con la fantasia rende la realtà che la circonda più dolce.
Inoltre l’avere dei sogni implica il cercare di realizzarli e quindi un’idea di attività, di vita: se vengono a mancare loro, i sogni, ci ritroviamo imprigionati nella nostra grigia realtà quotidiana, con tutte le cose che ci danno fastidio, senza una via di scampo e di miglioramento, perché distruggendo i nostri sogni abbiamo distrutto la nostra speranza di migliorare, la nostra voglia di migliorare.
Per questo vi dico, gente, di mettere nel cassetto tutte le cose brutte che vi capitano, tutti i problemi, tutto ciò che può deprimervi, e di cacciarne invece fuori i sogni (quelli famosi, che avete chiusi a chiave nel cassetto più piccolo e più intimo che avete) e di affrontare di petto la vita, con il sorriso e con voglia di fare e con la capacità di rialzarvi ogni volta che cadete perché siete fiduciosi nella vostra capacità e forza di realizzate ciò che volete, supportati e aiutati dalla vostra speranza e dai vostri sogni, perché essi sono l’unica cosa che possono tenervi a galla, aiutarvi e mantenere integri il vostro entusiasmo e la vostra voglia di vivere.

Ovviamente parlo in generale e ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale ;).  

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Rory e Lulù
Siamo due cuginette, Luisa e Rosa, che vivendo lontane hanno deciso di scrivere un blog insieme. A Luisa piace leggere, guardare gli anime e studiare (che secchiona!!!); a Rosa piace leggere, vedere film e scrivere. Speriamo tanto di riuscire a intrattenervi e ad interessarvi e che questo blog vi piaccia!
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