venerdì 28 giugno 2013
Coco Chanel
(da Rory)

Gabrielle Bonheur Chanel è nata a Saumur nel 19 agosto del 1883, è stata una stilista francese molto famosa, ed ha fondato la casa di moda Chanel.
I suoi genitori erano Henri-Albert Chanel e Jeanne DeVolle, la bambina nacque quando i genitori ancora non erano sposati, così come sua sorella Julie. Il padre era un venditore ambulante e la famiglia si trasferì a Issoire, dove vennero concepiti altri tre figli,in seguito si trasferirono a Brive-la-Gaillarde dove la madre morì in seguito ad una febbre ed a un attacco di asma. Dopo la morte di Jeanne, il padre abbandonò i figli a sua madre che però non potè occuparsi dei bambini e quindi mandò i maschietti a lavorare in un'azienda agricola, mentre le tre sorelline vennero mandate dalle suore alla congregazione del Sacro Cuore. 
Raggiunta l'età in cui non poteva più restare dalle suore, Gabrielle venne mandata a una scuola di apprendimento delle arti domestiche di Notre Dame, e quando compì diciotto anni iniziò a lavorare come commessa al Maison Grampayre, ma la svolta nella sua vita fu quando conobbe il suo primo amante , Etienne De Balsan. La loro storia durò sei anni e lui fu il suo primo finanziatore, si trasferì al castello Royallieu insieme ad Etienne. Lì imparò ad andare a cavallo, grazie alla passione del suo amante e fu proprio questo che in seguito le ispirò i pantaloni da cavallerizza. Iniziò a creare dei cappelli e sebbene Etienne non capisse il desiderio creativo di Chanel le lasciò fare quello che voleva, assecondandola.
Proprio nella residenza del suo primo amante Coco incontrò l'amore della sua vita, Boy Capel. Boy era un industriale di Newcastle, e a differenza di Etienne lui incoraggiò il lavoro di Chanel e successivamente lo finanziò anche. Purtroppo non si sposarono mai, sia per il fatto che appartenevano a due classi sociali diverse e sia perchè tra la scelta di avere il suo grande amore o il lavoro, Chanel scelse il lavoro.
Nel 1912, quando ormai erano due anni che aveva avviato la sua vendita di cappellini, Coco scelse di dedicarsi anche alla vendita di capi vestiari. Un anno dopo aprì un suo negozio nella località di Deauville e decollò con i suoi capi, soprattutto negli anni della Guerra perchè le famiglie più facoltose trascorrevano il periodo estivo proprio in quel paese, così le signore acquistavano i vestiti e i cappellini più carini proprio al negozio di Coco Chanel.
In quegli anni portò il jersey nei suoi vestiti e per questo è tutt'oggi ricordata visto che in quel periodo il jersey era usato solamente nella biancheria. Nel 1917 riuscì finalmente ad ampliare la sua attività a Parigi e a Biarritz,così da avere cinque laboratori e trecento lavoranti.
Negli anni venti Chanel lanciò la moda di portare i capelli corti, così presto tutte iniziarono a tagliarsi i capelli, un altro suo grande successo di quegli anni fu il profumo Chanel n°5 che diventò popolare perchè era una fragranza del tutto nuova, e il profumo fu chiamato così perchè si diceva che il cinque fosse il numero preferito di Coco.
Negli anni trenta iniziò a dedicarsi ai gioielli, ma subiva di una forte depressione così si trasferì ad Hollywood per un ingaggio come costumista. Ritornò a Parigi due anni dopo e da lì iniziò a vendere gioielli veri, iniziò anche una relazione con Paul Iribe, la quale durò due anni.
Gabrielle non fu solo una grandissima stilista ma anche una brava costumista, però negli anni quaranta quando iniziò la seconda guerra mondiale fu costretta a chiudere e riaprì soltanto a guerra finita. Il suo ritorno fu segnato da un vestito da ballo realizzato con una semplice tenda, il quale suscitò molto scalpore..ormai erano gli ultimi anni dei suoi successi.
Chanel morì il 10 gennaio 1971 all'Hotel Ritz quando aveva ormai 87 anni.
lunedì 24 giugno 2013


La pubertà
(da Lulù)

La pubertà è notoriamente un momento delicato della vita di una persona: finisce l’infanzia e si entra nell’età adulta, con tutto ciò che questo passaggio implica.
Il corpo cresce e per la prima volta esiste, ne sentiamo il peso e ne subiamo i fastidi (cosa che prima, da bambini, non succedeva, il nostro corpo non aveva una sorta di vita propria) e da questo cambiamento tutto nostro deriva un cambiamento del mondo, che improvvisamente non sembra più un luogo tanto confortevole e sicuro.
Mi è piaciuto come questo momento delicato è stato raccontato da Elsa Morante nel libro Aracoeli. Prima di riportare il pezzo in questione, vi dico un po’ di che parla il libro, se no ci si capisce poco: Aracoeli è la madre del protagonista (che sinceramente ancora non ho capito come si chiama), uomo ormai di mezza età disadattato, insoddisfatto e infelice. A un certo punto, dopo svariati anni dalla morte di Aracoeli, quest’uomo decide di intraprendere un viaggio nella terra natia della madre (Aracoeli è andalusa) e una volta arrivato in Spagna accusa la madre di essere stata egoista perché l’ha messo al mondo (cosa che l’ha condannato a una vita infelice e lo costringerà a morire) per il suo desiderio di avere una bambola.
Bambola che nel periodo infantile consiste fondamentalmente nel giocattolo propriamente detto, ma che nell’adolescenza si incarna nel bambino, prima delle altre e poi proprio. Insomma questo desiderio di avere una bambola non è altro che l’istinto materno che però definito così sembra qualcosa di frivolo e superficiale.
Il momento di transizione fra il desiderio del giocattolo e quello del bambino è proprio la pubertà ed è raccontato così:

Intanto le tue mammelle, che agli inizi erano state non più grosse di due lenticchie, erano cresciute fino alla misura, circa, di due manzane, e durante la notte, con certe piccole fitte e un senso di tumefazione dolorosa, ti andavano avvertendo che crescevano ancora. Sotto le ascelle e fra le cosce ti andavano spuntando dei riccetti lanosi e caldi. E una notte, dormendo vicino a tua madre, sognasti che dalla finestra entrava un incendio in forma di toro dritto in piedi, che agitava le zampe contro di te. A tale sogno, con un grido balzasti su sveglia, e piangesti al trovarti insanguinata, e il lenzuolo macchiato di sangue, certo per una cornata di quel toro. Però tua madre, ridestata dai tuoi singulti, fu pronta a spiegarti sottovoce che questo del sangue era un segno naturale mandato dalla Virgen a tutte le giovani per avvertirle quando erano cresciute. Era un sangue di sacrificio che ti colava dal cuore in ricordo delle piaghe di Maria. Dunque, al primo domingo, tu e lei assieme sareste andate fino al Santuario di Tabernas a salutare Nuestra Senora de las Angustias, ti disse tua madre. E per colazione, alla mattina, ti dette da bere un uovo.
Quanti anni avevi, allora? Dodici, tredici.
Non ti era passata la voglia della bambola, anzi ti fermentava nella carne. E forse proprio quella era l’urgenza che faceva lievitare le tue sise e spuntare i riccetti sul tuo nido di sangue.

Aracoeli è un romanzo molto particolare. Ci vuole un po’ per entrarci dentro e anche quando l’hai fatto ti lascia un po’ basita. In alcuni momenti non riesco a entrarci in sintonia, in altri (come il pezzo qui sopra) lo sento proprio che mi si scioglie sulla lingua.  
C’è qualcosa, forse è anche solo una questione di ritmo, di triste e sconsolato, ma nello stesso momento di rassegnato e fatalista, che a momenti mi irrita e a momenti mi conquista.
In ogni caso la mia opinione è confermata: la Morante è una grande scrittrice.
Forse è la mia preferita.

venerdì 14 giugno 2013


Le lucciole
(da Lulù)

Sono un po’ di giorni che i lampioni del mio paesello sono spenti.
Non si sa perché (azzardo: il comune ha qualche multa da pagare o ha fatto bancarotta e vuole risparmiare?) e non penso sia un guasto tecnico: sarebbe un po’ incredibile no?
Comunque il bello di questa cosa è che si vedono le lucciole.
Accecata dalla luce artificiale, non le avevo mai notate prima. Ora, mentre cammini nel buio e ti senti un po’ una sopravvissuta perché non vedi niente e non sai se sei sola o no, si notano tantissimo. Sembra di essere avvolti da una nuvola di lucciole che ti vengono addosso. Sembrano tante lucette di Natale.
Ed è bellissimo.

Mamma mi ha raccontato che quando era piccola ogni sera si giocava con le lucciole.
Lucciola, lucciola, vien da me
ché ti do il pan del re
il pan del re della regina
lucciola, lucciola, si avvicina.
Poi si allungava una mano e si prendeva una lucciola, una fra le tante, immaginando di averla attratta con l’incantesimo. E si metteva in un barattolo, per poi trovarla morta l’indomani mattina.
Anche i bambini sanno essere crudeli, anche quando giocano.


lunedì 3 giugno 2013


L’Atlantide
(da Lulù)

Titolo: L’Atlantide
Autore: Pierre Benoit
Editore: Garzanti
Pagine: 238
Prezzo: 350 lire (non sto scherzando XD questo libro all’epoca costava meno di 20 centesimi), ora penso che costi intorno ai 20 euro. Le meraviglie dell’inflazione mi lasciano senza fiato.
Trama:
“Durante una spedizione in mezzo al deserto del Sahara due militari francesi scoprono il regno degli ultimi discendenti della perduta Atlantide, comandati dal sinistro fascino della regina Antinea, immortale, bellissima e amorale sacerdotessa che colleziona amanti trasformandoli in statue d'oro.”

Penso che la storia di Atlantide, il continente sommerso nel mare per la tracotanza dei suoi abitanti, sia più o meno conosciuta da tutti.
Diciamo che questa è una rivisitazione moderna del mito che invece di collocare Atlantide nelle profondità marine la immagina nel bel mezzo del Sahara: quindi non sarebbe stato il continente regno di Nettuno a sprofondare, bensì il deserto a emergere.
La storia di questo fantastico viaggio viene raccontata sei anni dopo da uno dei due protagonisti, il capitano Andrea Saint-Avit, a un suo tenente cui decide di raccontare come e perché abbia ucciso il capitano Morhange, suo compagno in quel viaggio.
Il capitano Saint-Avit racconta di notte, come un’ammaliante Sharazad, la sua storia di orrore e meraviglia.
L’allora tenente Saint-Avit deve iniziare una missione nel Sahara per raccogliere informazioni su alcune tribù di indigeni ostili ai coloni francesi (e dategli torto), ma è costretto a rimandare il suo viaggio perché deve aggiungersi alla comitiva il capitano Morhange, un uomo religioso che, prima di entrare definitivamente in monastero, deve prendere informazioni sul Sahara per aiutare il suo abate nella compilazione di un Atlante del Cristianesimo.
Dopo qualche giorno i due partono, instaurando una forte amicizia.
Per proteggersi da un violento temporale entrano in una caverna in cui Morhange, uomo di vasta cultura, trova delle iscrizioni rupestri che riportano in caratteri africani il nome greco di Antinea (che poi si scopre essere una pronipote di Nettuno, regina di Atlantide). La mattina dopo i due salvano dal torrente che il temporale aveva creato un indigeno di nome Cegheir-ben-Cheikh che dice a Morhange di conoscere una grotta dove ci sono molte iscrizioni uguali a quella che l’aveva affascinato.
Morhange non riesce a resistere, segue l’indigeno e ovviamente Saint-Avit lo accompagna. Cegheir-ben-Cheikh li guida verso questa grotta e arrivano ormai a notte fonda. Saint-Avit vorrebbe aspettare il mattino per vedere queste iscrizioni, ma Morhange è troppo impaziente e inoltre l’indigeno dice loro che nella grotta c’è molta erba infiammabile, quindi a loro non mancherà di certo la luce.
Questa erba è hascisc.
Drogati e legati, i due francesi vengono portati da Cegheir-ben-Cheikh, uomo devoto ad Antinea che gli aveva salvato la vita, ad Atlantide. 

Nella corte di Antinea ci sono, oltre ai vari servitori africani, solamente tre altri europei: il reverendo Spardek, di cui si parla poco, il professore Le Mesge, ridicolo vecchietto fissato con la cultura e che passa la vita a schernire i professori universitari francesi che l’avevano schernito durante la sua gioventù, e il conte Casimiro.
È interessante la storia di quest’ultimo: prediletto dell’imperatore Napoleone III perché durante i moti per l’indipendenza francese aveva previsto “repubblica entro ventiquattro ore e impero entro quarantotto”, poveraccio drogato di gioco d’azzardo, ha sposato una donna ricchissima che però tradiva ripetutamente con una donna che poi, rimasta incinta, si è affrettato a far sposare con un ricco sceicco africano. Insomma, un peperino. Per capirlo, basta leggere dei suoi ultimi momenti in Francia.
Ecco come il conte Casimiro ha lasciato la Francia ed è arrivato in Africa (e quindi ad Atlantide):

Tornai a casa mia, in via Lilla. Per istrada, incontrai la canaglia che si recava dal Parlamento al Municipio. La mia risoluzione era presa.
“Signora” dissi a mia moglie “datemi le mie pistole”.
“Che c’è?” fece ella spaventata.
“Tutto è perduto. Non resta che salvar l’onore. Vado a farmi uccidere sulle barricate.”
“Ah, Casimiro!” ella singhiozzò cadendomi nelle braccia, “non vi avevo ben conosciuto. Perdonatemi!”
“Vi perdono, Amelia” risposi con dignitosa commozione: “ho tanti torti anch’io!”
Mi strappai a quella triste scena. Erano le sei. In via du Bac chiamai una vettura da piazza.
“Venti franchi di mancia” dissi al cocchiere “se arrivi alla stazione di Lione per il treno di Marsiglia, alle sette e trentasette”

Dal punto di vista narrativo però è molto più importante il professore Le Mesge, anche se è sicuramente meno interessante.
È lui che fa vedere a Saint-Avit e a Morhange la “stanza oscura” di Atlantide: una stanza di marmo rosso, con 120 cripte di cui 53 occupate da delle inquietanti statue di oricalco (metallo simile all’oro e all’argento). Sono mummie di uomini condotti lì come loro, che Antinea ha sedotto e che, quando lei li ha congedati per sostituirli con altri uomini, sono morti d’amore. E il professore è convinto che questo sarà anche il destino dei due francesi.
Ma perché Antinea segue queste strane abitudini amorose? Perché deve vendicarsi.
Ecco come spiega il tutto Le Mesge:

Avete veramente dimenticato fino a che punto le belle regine barbare dell’antichità hanno avuto a lagnarsi degli stranieri che la ventura spinse alle loro rive? Il poeta Victor Hugo ha espresso abbastanza bene il detestabile modo di agire di costoro nel suo poema coloniale intitolato Le figlie di O-Taiti.
Per quanto lungi spingiamo i nostri ricordi, noi non vediamo che simili procedimenti di scroccheria e d’ingratitudine. Quei signori usavano largamente della bellezza della regina e delle sue ricchezza. Poi, una bella mattina, sparivano. E la delusa poteva dirsi fortunata se l’amico, avendo segnato il posto, non ritornava con navi e truppe di occupazione.
(…)
È necessario citarvi degli esempi? Ohimè, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Pensate al modo disinvolto con cui si comportarono Ulisse di fronte a Calipso, Diomede con Calliroe. Che dire con Arianna? Giasone fu con Medea d’una leggerezza inconcepibile. I Romani hanno continuato la tradizione con brutalità anche maggiore. Enea, che ha tanti tratti comuni col reverendo Spardek, si regolò con Didone nella maniera più indegna, e Cesare fu con la divina Cleopatra un mascalzone cinto d’alloro. Tito infine, quell’ipocrita di Tito, dopo aver vissuto un anno intero in Idumea alle spalle della gemebonda Berenice, non la conduce a Roma se non per esporla alla berlina. Era tempo che i figli di Iafet saldassero alle figlie di Sem quei formidabili conti di offese.
Ed ecco che è sorta una donna per stabilire a vantaggio del suo sesso la grande legge hegeliana delle oscillazioni.”

 Antinea, per come è stata sviluppata come personaggio, non mi è piaciuta per niente. Ammetto che l’idea di questa donna che trasformava i suoi amanti in statue d’oro mi stuzzicava, e parecchio anche. Aveva qualcosa di affascinante l’idea del sesso usato come pezzo di distruzione dell’uomo, qualcosa che si avvicina allo stupro senza però assumere colori così brutali, perché alla fine, come dice Morhange, l’uomo può essere costretto solo se vuole essere costretto.
Questa, in un certo senso, è un’altra delle fortune degli uomini: proprio per come siamo formati, noi e loro, le donne possono essere forzate, perché per contenere non c’è bisogno del consenso, ma gli uomini no perché se loro non sono “in vena” c’è poco che noi possiamo fare per costringerli a essere contenuti. Al massimo un uomo può essere stuprato nel senso proprio del termine solamente da un altro uomo, ma lasciamo stare questo discorso.
Dicevo, l’idea era affascinante, ma non è stata sviluppata a pieno.
Forse il personaggio risente del fatto che, in realtà, nel romanzo è più una comparsa che altro. La vediamo agire direttamente sulla scena solamente tre volte, e la prima volta è davvero una comparsa molto breve, per il resto Antinea viene costruita dagli altri personaggi che parlano di lei. Comunque la regina di Atlantide è molto meno carismatica di quello che immaginavo; forse perché più che un’Antinea dominatrice, nel romanzo si è vista un’Antinea sconfitta e piegata (il perché lo spiegherò poi).

Antinea ha l’abitudine di chiamare i suoi amanti secondo ordine gerarchico, quindi il primo a entrare nelle sue grazie è il capitano Morhange.
Morhange sparisce dalla circolazione per un po’ e Saint-Avit si rode letteralmente di gelosia. Eh già, perché in questa tragica situazione il tenente invece di pensare al fatto che nel giro di tre mesi sia lui che il suo amico saranno due statue d’oro nelle nicchie 54 e 55 non riesce a non pensare solamente al fatto che Morhange in quel momento sta andando a letto con Antinea. Che grande dimostrazione di intelligenza.
Nel frattempo Saint-Avit conosce meglio i membri della casa e soprattutto una ragazza facente parte del seguito di Antinea di nome Tanit-Zerga. Non dimenticatevi di lei, perché è piuttosto importante.
Continua la sua vita più o meno tranquillamente finché ad Atlantide non inizia a circolare una strana voce: Antinea ama. Ama Morhange che si è rifiutato di amarla. Ama Morhange che prima di morire vuole solo rivedere il suo amico Saint-Avit.
Non so quali siano le opinioni di Benoit sulla religione, ma mi sembra interessante vedere come l’unico che sia stato capace di resistere ad Antinea e di far innamorare quella donna di sé sia stato un uomo di chiesa. Che sia un modo per dire che la superiorità del cristianesimo è tale da sconfiggere e sottomettere i barbari africani? Infondo questo è un libro francese del 1920 o giù di lì, siamo in pieno colonialismo.
E il colonialismo aveva nell’evangelizzazione dei “barbari” la sua prima e principale giustificazione a livello di opinione pubblica.
Comunque Saint-Avit, appena scopre la situazione, si precipita negli appartamenti di Antinea. Per aiutare Morhange o per consolare Antinea?
Nascosto dietro una tenda, assiste all’ultimo colloquio fra Morhange e Antinea, dove quest’ultima viene di nuovo respinta. Allora, dopo che Morhange è uscito dalla stanza, Saint-Avit abbraccia il corpo nudo di Antinea e le promette di fare qualsiasi cosa lei voglia.
La mattina seguente si sveglierà con la manica sporca di sangue e il professore Le Mesge gli chiederà le informazioni che deve scrivere sulla cripta 54, dove riposerà Morhange.
Saint-Avit lo ha ucciso.
Quando si accorge di quello che ha fatto, questo provolone non pensa minimamente di accusare se stesso. No. Decide di uccidere Antinea.
Ma non ci riesce perché una volta che la regina gli ha confermato che Morhange è morto conoscendo l’identità del suo assassino (“Se non lo avesse saputo la cosa non avrebbe avuto la minima attrattiva per me”) lo fa imprigionare.

A questo punto rientra in gioco Tanit-Zerga che, con l’aiuto di Cegheir-ben-Cheikh, scappa con Saint-Avit nel deserto. Se non fosse che il caldo è opprimente e i due non hanno acqua, perché il loro cammello muore per strada.
Tanit-Zerga muore e Saint-Avit  la seppellisce in una scena molto commovente, per poi essere ritrovato dai francesi giorni dopo, mezzo morto di sete.
Potrebbe sembrare un lieto fine, ma non è così.
Tornando alla cornice del capitano Saint-Avit che racconta al suo tenente, ecco come finisce il libro (tenete in conto che a parlare in prima persona è il tenente, non Saint-Avit):

“Al centro della sala di marmo rosso, sulla roccia ove palpita il lamento invisibile della fontana tenebrosa, è serbata una piattaforma. Là si ergerà, nella sua poltrona di oricalco, con pschent e l’uraeus d’oro in testa, e in mano il tridente di Nettuno, la donna meravigliosa di cui ti ho parlato, il giorno in cui le centoventi nicchie scavate in circolo intorno al suo trono, avranno ricevuto ciascuna la sua preda consenziente e accontentata.
Quando lasciai l’Hoggar, ti ricorderai, lo stallo numero 55 doveva essere il mio. D’allora, non ho cessato di calcolare, ed ho concluso che dovrò riposare nello stallo da 80 a 85. Ma i calcoli possono essere errati, se si fondano su una base fragile come la fantasia d’una donna. Per questo io sono sempre più nervoso. Bisogna affrettarsi, credimi, bisogna affrettarsi.”
“Bisogna affrettarsi” ripetei come in sogno.
Egli alzò la testa con indicibile espressione di gioia: le sue mani tremavano di felicità stringendo le mie.
“La vedrai!” ripeteva con ebbrezza “la vedrai!”
Mi strinse nelle braccia,a lungo, tutto smarrito.
Una straordinaria felicità ci sommergeva l’uno e l’altro, mentre ridendo e piangendo a volta a volta come due fanciulli, non cessavamo di ripetere “Affrettiamoci! Affrettiamoci!”

Quindi alla fine questo è un libro di sconfitti.
Altrimenti chi potrebbe essere il vincitore?
Tanit-Zerga che desiderava rivedere la propria città natale? Ma se è morta nel deserto senza rivederla. Ma se è morta per salvare il suo amico (amato?) che continua comunque a pensare ad Antinea.
Cegheir-ben-Cheikh che passa la vita al servizio di Antinea? E che vita è?
Il conte Casimiro che finalmente vive nel lusso? Ma cosa se ne fa del lusso se non ha nessuno con cui condividerlo?
Il professore Le Mesge che ha raggiunto la cultura che tanto agognava? Ma cosa se ne fa se non può darla al mondo e morirà con lui?
Morhange che non si è lasciato corrompere da Antinea? Beh è morto per mano del suo migliore amico.
Saint-Avit che si è salvato? A che pro se vuole ritornare da Antinea (portando con sé anche il suo tenente, quindi nemmeno lui che ha sentito questa bella storia può essere considerato un vincitore)?
E ancora Antinea che manda avanti la sua macabra vendetta? Ma se non ha potuto avere l’unico uomo che abbia mai amato.
Quindi dal punto di vista della storia questo libro è un po’ inconcludente. Ci sono delle parti molto noiose (le prime 75 pagine sono una palla), poi si ravviva con qualche ricaduta, ma il finale ti lascia comunque con l’amaro in bocca. Ti dà una sensazione di inutilità: che senso ha se torno al punto di partenza? Per non parlare poi di tutti i vari spunti mancati e ovviamente di Antinea che è quasi un’ombra.
Magari se il protagonista fosse stato Morhange e non Saint-Avit sarebbe stato meglio.
Eppure questo libro è stranamente affascinante e si fa leggere abbastanza bene.

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Rory e Lulù
Siamo due cuginette, Luisa e Rosa, che vivendo lontane hanno deciso di scrivere un blog insieme. A Luisa piace leggere, guardare gli anime e studiare (che secchiona!!!); a Rosa piace leggere, vedere film e scrivere. Speriamo tanto di riuscire a intrattenervi e ad interessarvi e che questo blog vi piaccia!
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