giovedì 25 luglio 2013


Fratelli d’Italia
(da Lulù)

Ieri ho fatto un piccolo sondaggio fra amici e parenti.
Le domande erano semplicissime: Hai mai letto o ascoltato la versione integrale dell’Inno di Mameli? (3 sì, 5 no); Hai mai letto come è stato musicato? (2 sì, 6 no); Sai come e perché è morto Goffredo Mameli e a che età? (8 no).
La considerazione naturale che si può trarre da quest’esperienza è che gli abissi dell’ignoranza stanno per inghiottire anche il nostro bel (bello, ma che dico? Bellissimo) inno, forse se non è stato ancora completamente dimenticato è solo perché viene cantato prima di ogni partita di calcio. Questa trascuratezza si può spiegare forse con il fatto che ultimamente i sentimenti patriottici non sono esattamente esaltati (si tende più a biasimarla, questa nostra povera Italia, che ad amarla) perché tutti, più o meno, sono stufi e schifati dalla politica e dal malgoverno, ma qui mi si permetta di aprire una parentesi, che non ho la minima intenzione di approfondire,: ogni popolo ha il governo che vuole e che si merita. Se il governo italiano è formato da criminali-truffatori che pensano solamente a sistemarsi i fatti propri e a riempire le proprie tasche, è perché lo stesso popolo italiano è tendenzialmente truffaldino e clientelare.
Comunque è veramente un peccato che a pagare il conto di questa situazione ingrata sia un pezzo “vivente” di uno dei periodi più splendidi della nostra storia, quindi ho deciso di andare un po’ alla riscoperta di questo nostro Canto degli italiani.


Per chi è completamente digiuno di storia
Il Canto degli Italiani è stato scritto, musicato e cantato per la prima volta a Genova nel 1847, un anno prima dell’inizio della prima guerra di Indipendenza.  
Ridotta all’osso, la situazione era questa: dopo la caduta di Napoleone e la conseguente Restaurazione, l’Italia era divisa in sette regni controllati dall’Austria direttamente (alcuni regni erano in mano ai rami cadetti della famiglia degli Asburgo allora regnante nell’impero d’Austria) o indirettamente (attraverso trattati).
In poche parole l’Italia era sotto il dominio austriaco. Se questa cosa aveva inizialmente interessato solamente i colti pensatori liberali che sospiravano per gli ideali della vicina Rivoluzione francese, a un certo punto (proprio nel 1848) toccò anche il popolo, perché al malcontento per la situazione politica si aggiunse il malcontento per la carestia.
Quindi nel 1848 iniziò il Risorgimento, periodo che comprende tre guerre per l’Indipendenza e la spedizione dei Mille di Garibaldi e che si concluderà solamente nel 1861 con la proclamazione del Regno di Italia.
Se qualcuno vuole approfondire il periodo storico, lo rimando alle mani sapienti e fin troppo esaurienti di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Risorgimento
 Goffredo Mameli, nato a Genova nel 1827, era un giovane patriota seguace di Mazzini. Nel 1847, a soli vent’anni, scrisse il testo del suo famoso inno e partecipò alle manifestazioni genovesi per le riforme.
Nel marzo del ’48, con trecento volontari, partecipò alle Cinque giornate di Milano, quindi, tornato a Genova, collaborò con Garibaldi, per poi raggiungere Roma dove, nel 1849, era stata proclamata la Repubblica.  Mentre combatteva per difendere Roma assediata dai francesi, venne ferito alla gamba sinistra. Nonostante le cure, la gamba andò in cancrena e fu mutilata; il giovane Goffredo morì per infezione subito dopo l’intervento, a soli ventidue anni.
Questo è il ragazzo che ci ha lasciato l’inno che stiamo dimenticando.

Ed è arrivato il momento di lasciar spazio a lui, al nostro Canto:

Fratelli d'Italia,
L'Italia s'è desta;
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,

Noi fummo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam Popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme;
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,

Uniamoci, amiamoci;
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore.
Giuriamo far libero
Il suolo natio:
Uniti con Dio,
Chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,

Dall'Alpe a Sicilia,
Dovunque è Legnano;
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core e la mano;
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla;
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò,

Son giunchi che piegano
Le spade vendute;
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia
E il sangue Polacco
Bevé col Cosacco,
Ma il cor le bruciò
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò.

Delle ultime strofe bisogna spiegare qualcosa a livello storico, altrimenti si rischia di perdere parte dell’effetto dell’inno.
Nella battaglia di Legnano (rigo 35), combattuta nel 1176, la Lega Lombarda (no, non è quella di Bossi) sconfisse Barbarossa; Francesco Ferruccio (36) era un cittadino che nel 1530 partecipò alla resistenza di Firenze durante l’assedio di Carlo V; Balilla (39) era il soprannome di Giambattista Perasso, ragazzino che partecipò alla rivolta di Genova contro gli austriaci nel 1746; i Vespri (41) sono le campane che nel 1282 suonarono per chiamare i palermitani a combattere contro i francesi di Carlo d’Angiò.
Nei righi 50-51 si fa riferimento alla spartizione della Polonia da parte di Austria e Russia (Cosacco).
L’ultima strofa fu inizialmente censurata proprio perché Mameli sottolineava il declino dell’Austria le cui forze erano rose dai popoli oppressi (appunto quello italiano e quello polacco) che si ribellavano.
Personalmente, sarà che sono un’idealista romantica che sente, nonostante tutto, di dovere qualcosa al proprio paese e che ammira sempre, a prescindere, chi lotta per un qualsiasi ideale e soprattutto per la propria libertà, ogni volta che leggo o sento questa canzone mi commuovo e alla fine arrivo sempre con la pelle d’oca.
Non vale la pena di salvarlo dall’oblio?

Ora, per concludere, vorrei lasciare la parola a Carlo Alberto Barrili, un patriota amico di Mameli che più tardi scrisse la sua biografia. In questo pezzo Michele Novaro stesso, colui che ha musicato l’inno, racconta la sua reazione quando ha letto per la prima volta Fratelli d’Italia:
Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari - Del nuovo anno già l'alba primiera - al recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul petto - musicata dal Rossi.
In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii - mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo.
Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte.
Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia.

Questa quindi è la storia del Canto degli Italiani.
Se volete leggere anche come il nostro inno viene raccontato “ufficialmente”, questo è il link del Quirinale, ma non penso che troverete grosse differenze: http://www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm

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Rory e Lulù
Siamo due cuginette, Luisa e Rosa, che vivendo lontane hanno deciso di scrivere un blog insieme. A Luisa piace leggere, guardare gli anime e studiare (che secchiona!!!); a Rosa piace leggere, vedere film e scrivere. Speriamo tanto di riuscire a intrattenervi e ad interessarvi e che questo blog vi piaccia!
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